Ambiente
17.06.2010 21:14
È ipotizzabile che in relazione all'attuale impronta ecologica media di un umano onnivoro occidentale, questa risulterebbe insostenibile se adottata dal resto dell'umanità, risultando una dieta non compatibile con lo sviluppo sostenibile. Le ragioni addotte sono: l'importazione di larga parte dei mangimi e pastoni utilizzati per l'allevamento in occidente da paesi del terzo mondo, il maggiore consumo di acqua per ciascun individuo in seguito al consumo di carne, lo spreco di vegetali che costituiscono mangimi per gli animali da allevamento invece di essere consumati direttamente dall'uomo. Ha dichiarato a questo proposito l'oncologo ed ex-ministro della Sanità Umberto Veronesi:
« L'umanità rischia un effetto a catena distruttivo: esaurimento di energia, di acqua potabile, di alimenti base per soddisfare consumismi alimentari errati. In Cina e in India è aumentato il consumo di carne, così come non si ferma in Occidente. I conti non tornano. Sei miliardi di abitanti, tre miliardi di bovini da macello (ogni chilo di carne brucia 20 mila litri d'acqua), 15 miliardi di volatili da alimentazione, produzione di combustibili dai cereali. Tra un po' non ci sarà più cibo. Grano, soia, riso, mais costano sempre di più e vanno a ingrassare gli animali da allevamento. Dobbiamo fermarci ora. Primo passo: diventare vegetariani, o quasi. » | |
(citato in Corriere della sera, 20 maggio 2008, p.9)
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Sull'argomento, si guarda anche alla relazione tra il consumo di carne dei nostri tempi e le forme di sfruttamento del cosiddetto Nord del mondo sul Sud del mondo e sull'ecosistema all'interno di una strategia di marketing che, a partire dal dopoguerra, ha teso a rappresentare la carne quale alimento irrinunciabile e, soprattutto, bandiera del ritrovato benessere economico. L'italiano medio è passato in quel periodo da un consumo annuo medio di 8 kg di carne (immediato dopoguerra) a oltre 80 kg (attuali). Il problema è riassunto dai ricercatori del Centro Nuovo Modello di Sviluppo: «Il nostro alto consumo di carne è ingiusto perché non è estendibile a tutti gli abitanti del pianeta, semplicemente perché non ci sarebbe abbastanza terra coltivabile». La produzione di carne richiede, nel suo processo, una superficie di terra coltivabile fino a sedici volte superiore a quanta ne è richiesta da legumi ed altri tipi di proteine vegetali. Questo significa che la produzione di 200 grammi di carne, ovvero un semplice secondo piatto per un italiano di medie condizioni economiche, richiede l'impiego di una quantità di terreno dalla quale si potrebbero ricavare due chili e mezzo tra cereali e legumi, l'equivalente di un pasto completo per una settimana. Di tutti i cereali prodotti nel mondo, oltre il 55% è destinata agli allevamenti e non direttamente all'alimentazione umana. A questo va aggiunto il fatto che la maggior parte dei vegetali usati per il mangime per animali vengono coltivati e preparati in Asia e America Latina, ovvero paesi più poveri, e non destinatari di quella produzione.
Un terzo legame tra rinuncia alla carne e pacifismo è l'impatto ambientale. In virtù della sua complessità strutturale infatti, il sistema di allevamento intensivo deve far fronte ad una serie di operazioni parallele all'allevamento tout court (ad esempio l'agricoltura chimica), spesso anche per ammortizzare le eccedenze della superproduzione. L'equivalente dei succitati 200 g di carne corrisponde a circa 4 litri di liquami. Inoltre, l'esigenza di creare ampi spazi (agricoli per coltivare foraggio e logistici per impiantare l'allevamento stesso) è ritenuta corresponsabile della deforestazione di diverse aree del Sud del mondo.
Come in passato, molte popolazioni seguivano una dieta vegetariana o semi-vegetariana, anche perché costrette a farlo durante guerre o carestie.
Cuba è stato il primo paese al mondo ad affrontare un picco del petrolio su scala locale, dovuto al crollo dell'Unione Sovietica che ha interrotto tutti gli aiuti economici, fra cui petrolio e derivati. L'agricoltura cubana, che in precedenza utilizzava fertilizzanti, pesticidi, macchinari e sistemi di allevamento industriali, è collassata, facendo precipitare la quantità di calorie procapite disponibili. La società cubana ne è uscita solo dopo anni di riconversione all'agricoltura biologica, al lavoro nei campi ed ad una dieta semi-vegetariana con i soli contributi di piccoli allevamenti da cortile.
Al disastroso impatto ambientale degli allevamenti bovini - oltre che al fenomeno della mucca pazza - è dedicato il saggio Ecocidio di Jeremy Rifkin.
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